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La prima volta al Passatore

Borgo San Lorenzo, 31 maggio. Dovrei fare lo scrittore di lavoro per poter comunicare le emozioni che ho vissuto nella lunga notte del Passatore, per poter esprimere sentimenti a volte contrastanti. Ripenso a me stesso la scorsa notte, solo ventiquattro ore fa e mi sembra di vedere un altro. Mi ripeto incessamente "Ehi, hai corso per cento chilometri, ti rendi conto?" e non mi sembra di parlare a me stesso, come se per una giornata avessi vissuto con la mente di un altro. Ancora non ho metabolizzato la cosa, non ho la coscienza di cosa sono riuscito a fare, e guardo il tabellino con il risultato, i parziali ai traguardi intermedi e la traccia del GPS come se fosse la prestazione di un altro. Vedo un tempo clamoroso, esistito solo nei miei sogni, e lo ammiro come se fosse quello di un amico. Scrivendone posso solo provare a rievocare ricordi, cercando di scavare in una mente probabilmente ancora sopraffatta dalla fatica. Scrivo per me, per rievocare meglio questa esperienza. Scrivere è ricordare, è ripensare, è rivivere. E riviviamo questa avventura.

Firenze, 30 maggio, ore 15.00
Il momento è giunto. Anni ed anni che sognavo un giorno di fare questa gara, e ora ci sono. In mezzo ad altri millecinquecento concorrenti, con un obiettivo: valicare l'Appennino, correre cento chilometri. Fino a pochi giorni prima pensavo che in questo momento avrei avuto una paura del diavolo. Io, che non ho mai avuto paura, che sono andato incontro ai miei obiettivi sempre con cattiveria agonistica e consapevolezza delle mie forze, temevo di cedere proprio sul più bello, avevo paura dell'incognito, di una gara dove non si potevano fare previsioni. Per fortuna non è caldo come accade quasi sempre a fine maggio, sarà un vantaggio. Si ride in partenza, e ancora sghignazzo per la scena cui ho appena assistito (un concorrente intento a far pipì sulle mura di Palazzo Vecchio fermato dai vigili urbani e accompagnato in centrale per l'identificazione). Gli ultimi anni ero partito per fermarmi a un intermedio. Stavolta no, parto per arrivare in fondo, o almeno provarci. Esplorare i propri limiti, le proprie potenzialità. Scoprire il lato di me stesso che non conosco: quanto potrò reggere dopo Marradi? Come sarà la fatica, la sofferenza, dopo sette, otto, nove, dieci ore di corsa? Come reagirò alle difficoltà?

1 giugno. La tranquillità, l'incoscienza erano il sentimento dominante. Mesi e mesi di chilometri, sofferenza, concentrati in poche ore. Andare incontro al martirio in quel modo, roba da masochisti. Questo è il Passatore, la centochilometri per eccellenza. Troppo, forse, per un corridore normale come me. Questo era quello che temevo. L'unico timore.

Fiesole (320 metri slm) 30 maggio, ore 15.50
Mancano novantadue chilometri. Sembra tanto. Sì, è dannatamente tanto. Il primo tratto facile di pianura è venuto bene, lo scarico dell'ultima settimana ha funzionato e le gambe girano. Al quarto si attacca la lunga salita per Fiesole, molti la prendono con troppa allegria, io accorcio il passo e salgo regolare, fa caldo. Buone sensazioni, non devo pensare al traguardo. Dopo il paese i saliscendi dei Bosconi che ci porteranno verso Vetta le Croci, un tratto tosto e traditore, invoglia a correre ma senza accorgercene si sale e si consumano energie preziose. Relax, corsa sciolta, guardo il panorama, davanti a me le montagne fiorentine dove spesso corro per sentieri. Ciao amiche mie, presto tornerò a trovarvi ma oggi mi attende altro. Intercetto Vincenzo e Rossella che mi faranno da scudieri per tutta la gara fornendomi cibo, acqua e incitamenti. Vincenzo ora non è allenato ma l'anno scorso arrivò a Faenza in meno di undici ore anche grazie ai miei consigli. Percepisco la sua invidia, mi sento quasi in colpa.

Vetta Le Croci (523 metri slm) 30 maggio, ore 16.45
Mancano ottantatre chilometri. Saliscendi superati meravigliosamente chiacchierando con Jack, compagno di tanti trail, è già al quarto Passatore, magrissimo e in forma, stare con lui è una follia ma sto bene. Finalmente vedo la vetta: un pratone verde, una marea di folla, la solita che c'è tutti gli anni che fa un tifo da stadio. Aspettavo il passaggio di qui solo per il tifo dei tanti podisti fiorentini che sono qui per incitare i concorrenti, gli amici, i compagni di allenamento. Sento il calore della folla, e valicando la Vetta mi getto nella fresca vallata con grinta. Assaporo la discesa, mi trovo più a mio agio aiutato dalla forza di gravità, le gambe girano. Passo in scioltezza i paesini di Mulinaccio e Polcanto, la discesa si fa più lieve e il caldo più pesante.

1 giugno. Riguardo su Google Earth la traccia del mio GPS e studio i tempi di passaggio. In effetti pensavo di correre più forte la prima parte, o forse inconsciamente non mi ero accorto di stare risparmiando molto. Non ero convintissimo della mia preparazione: i lunghissimi c'erano stati eccome, però erano mancati quegli allenamenti medio-lunghi ad alta intensità, le ripetute lunghe, qualche progressivo. Nonostante questo il ritmo doveva essere giusto perché a Faltona, ventisei chilometri di gara, mi sono messo a chiacchierare con un tizio: aveva una decina di partecipazioni al Passatore alle spalle e diceva che quello era un ritmo sulle dieci ore circa e che insieme a noi c'erano altri con lo stesso valore. Mi sono un po' spaventato e ho rallentato. Sapevo di non esser partito pianissimo ma era una tattica precisa, odio correre troppo lentamente, mi imballa paurosamente le gambe. Però un dubbio si instillava nella mia mente mentre il caldo fondovalle mugellano si avvicinava.

Borgo San Lorenzo (185 metri slm) 30 maggio, ore 18.00
Mancano sessantotto chilometri. Finalmente, Borgo. Il mio paese d'adozione, entrarci mi emoziona quasi. Sono le sei del pomeriggio, rispetto la tabella di marcia. Vedo facce note, i miei suoceri che incitano, mio padre che scatta foto, il ristoro da cui arraffo acqua e sali. Cammino per le vie del paese. Pensavo di arrivarci meglio qui, non sono più brillante. Già, ma quando mai sei stato fresco e brillante dopo trenta chilometri? Hai sempre perso efficienza di corsa dopo tre ore che sei sulle gambe, non preoccuparti. All'uscita del paese il primo chilometro di salita appenninica mi manda quasi nel panico, come sentissi tutta insieme la stanchezza di una lunga preparazione. Eppure questa salita fino a Ronta l'ho pure provata sette giorni fa. Cammino, bevo, succhio gel zuccherini. Saluto Isacco che segue i miei compagni di squadra, Denise che corre per fotografarmi, mi riprende Vincenzo con le scorte alimentari. Calma e sangue freddo. Questo tratto non mi piace, salitella leggera ma ingannevole, mi superano in tantissimi perché mi voglio risparmiare.

2 giugno. La salita verso Ronta (km 39, 350 metri slm) è stato un primo rapido momento di crisi. Mentale, solo mentale. I primi segnali di inevitabile affaticamento mi stavano impaurendo. Ho reagito semplicemente camminando dove la salita era meno morbida. Sapevo che questo è un po' il segreto, il saper affrontare e gestire i momenti di difficoltà. È durata molto poco, ho proseguito regolare: dopo la Madonna dei Tre Fiumi ci sarebbe stato da soffrire davvero.

Razzuolo (650 metri slm) 30 maggio, ore 19.35
Mancano cinquantasei chilometri. La salita dai tre fiumi è intorno al 5%, molti la corrono, io ho deciso di alternare corsa e marcia ad ampie falcate. È la tattica che usai un anno fa che dovevo arrivare solo a Marradi. Bevo abbondanti litri di Coca Cola e comincio a mangiare qualcosa di solido. Passo il paesello, saluto i festanti Annalisa e Roberto su Vespa d'epoca strombazzante, ingurgito le mie rondelle di mele secche. Alzo la testa. Adoro questi luoghi, questi boschi, la selvaggia montagna appenninica dimora di lupi caprioli e cinghiali, ora baciata dalla luce serale, cielo terso: vale correre il Passatore solo per questo. Vengo superato da molti. Sono ai tornanti, ancora uno sforzo e poi un po' spiana. Ecco la Fonte dell'Alpe, con la sua sorgente di acqua purissima e gelida, manca poco alla vetta. La testa ora è un'altra, la micro-crisi mentale dopo Borgo è decisamente passata.

Passo della Colla di Casaglia (922 metri slm) 30 maggio, ore 20.15
Mancano cinquantadue chilometri. Giungo al Passo dove una gran folla sfida la bassa temperatura per fare festa. Agguanto acqua e uvetta e mi fiondo a valle sul versante romagnolo. Sentire la forza di gravità che ti spinge è una sensazione stupenda. Rinasco, la mente si gonfia di ormoni positivi, le gambe iniziano a girare e sono sorprendentemente fresche, per niente imballate dallo sforzo eccentrico dello scendere. Tolgo la canotta traforata della mia società indosso maglietta rossa di Spirito Trail anche se non sono su un sentiero. Ma mi sento ugualmente immerso nella natura, nel verde della foresta, l'aria frizzante della sera nelle mie narici e gli arti inferiori che macinano chilometri e concorrenti. Felicità, pace con se stessi, comunione con la natura, attività fisica. Il pensiero di dover correre ancora per cinque-sei ore è lontano.

2 giugno. Il ricordo di quella discesa mi riempie ancora di gioia. Ho affrontato i tornanti tagliando le curve, cercando di non frenare mai troppo. Per uno come me che in discesa si trova a suo agio trovo sia controproducente rallentare, si sprecano energie fondamentali nei vari urti sul terreno: invece credo che la corsa debba essere lineare, non forzata, lasciarsi andare verso valle. Intanto dopo il paesino di Casaglia la luce diminuiva progressivamente, facevo il raffronto con l'anno prima notando che stavolta c'era più luce, ero in anticipo. Pensieri positivi, fondamentali per poter reggere. Crespino sul Lamone, in fondo a una ripida gola dove si ritrova la ferrovia Faentina, segnalava che la parte più ripida della discesa è finita, restava quella leggera verso Marradi. Non mi faceva paura.

Marradi (325 metri slm) 30 maggio, ore 21.50
Ecco dopo Crespino mi ricordo che la discesa si fa leggera e occorre tornare ad avere un po' di spinta. Comincia a far buio, Vincenzo mi passa la lampada frontale. La valle del Lamone si fa stretta e angusta, il freddo del valico è passato, condizioni ideali per correre. Stanco però le gambe girano anche nei brevi tratti piatti. Mi sento bene, i bip del GPS segnalano lo scorrere dei chilometri, lo guardo e vedo con gioia che il ritmo si fa veloce. Comincia ad affacciarsi nella mente l'idea di fare un gran tempo sulle undici ore, inizia a non essere più un sogno ma qualcosa forse raggiungibile, chissà. Finalmente le luci di Marradi, al ponte di Biforco la strada diventa piatta, non sarà più discesa fino all'arrivo ma chissenefrega io continuo ad andare. Batto il cinque a numerosi bambini, c'è tanta gente che festeggia i concorrenti, il Passatore è un appuntamento classico per queste terre. Il babbo mi si affianca e mi passa un cellulare: è Remo! Quante gare corse assieme, e ora qui a dirmi di non mollare. Grazie, ormai sono all'intermedio di Marradi: sto benissimo, vado avanti. È il paese di Dino Campana - che poi andò a morire in manicomio nel paese dove sono nato io - c'è tanta gente ad applaudirci, vado avanti deciso, cattivo. Mancano trentacinque chilometri. Mi chiama la mia compagna al telefono, è preoccupata per la tanta strada ancora da fare, la tranquillizzo, sono conscio delle mie forze. Esco dal paese. Inizia la vera oscurità. Non ho mai corso oltre sessantacinque chilometri in vita mia. Inizia il viaggio alla scoperta del me stesso che non conosco.

Sant'Adriano (260 metri slm) 30 maggio, ore 22.25
Mancano trenta chilometri. Buio pesto su queste diritture dopo Marradi, dove la strada si allarga. Ci sono dei maledetti falsopiani dove occorrerebbe spingere ma inizio a dare qualche segno di cedimento e cammino dei brevissimi tratti per rifiatare. Dopo Sant'Adriano, sempre nel buio più profondo, San Martino e il bivio per l'osservatorio di San Romano e Croce Daniele. Da lì passa il sentiero 505, quello del Passatore versione trail, lo ricordavamo prima (già Jack, dove sei finito? Mi ripeto sperando che mi agganci per avere qualche riferimento). Ho voglia di tornarci su quei sentieri ma prima c'è Faenza. Si fa dura, cavolo. Questa è la crisi. Quella temuta, quella che sapevi che prima o poi arrivava ed ora eccola inesorabile, la strada è solo appena in salita eppure le gambe non vanno, prive di forza. Cammino, cerco di farlo di buon passo, ecco ora riscende e torno a correre, risale e cammino. Alimentarsi non servirebbe perché ho mangiato e bevuto sempre, ne approfitto per ingurgitare altro, l'adorata Coca Cola. Manca ancora molto e non so come riuscirò ad andare avanti. Stanco, troppo stanco, mi trovo a pensare che tutto sommato questo sforzo è troppo, non fa bene alla salute, mi ripeto "Mai più", mai più questa faticaccia immane, e io che volevo fare degli ultratrail, ma che scherziamo? Mi attraversa velocemente la mente la parolina "ritiro", è un attimo e sparisce, mi sforzo di ripensare al libro di Trabucchi sulla resilienza ma non ho la forza per concentrarmi, solo quella per tenere duro. Intanto si abbandona la Toscana e si entra in Emilia Romagna. Il buio è sempre più profondo, anche sulle mie prospettive. La durezza del percorso cala come una mannaia, la frase di Gianluigi "Il Passatore inizia a Marradi e finisce a Brisighella" che mi aveva colpito mi arriva addosso come un treno e realizzo tutto insieme quanto sia vera.

San Cassiano (225 metri slm) 30 maggio, ore 23.05
Gambe di marmo, durissimo muoversi. Mi si è affiancato Vincenzo. Lui adora così tanto il Passatore che non ce l'ha fatta ad accompagnarmi solamente, vuole correre, adora troppo quella che lui chiama "la lunga notte". Non mi fa da lepre, devo tenere il mio passo e sta al mio fianco. Corricchio, cammino, cavolo sento quasi più male a camminare, ripartire è uno strazio. Mi faccio forza e cerco di correre con continuità. Sento in lontananza canti, una festa di ragazzi che fanno il karaoke e stonano come campane. Suoni sparsi ma la vera colonna sonora della notte del Passatore sono i grilli, milioni di grilli che da quando ha fatto buio hanno iniziato il loro concerto. Luci, non solo i fari delle auto o delle frontali dei concorrenti ma soprattutto quelle delle lucciole che tappezzano la vallata e ricordano le sere d'estate da bambino in campagna. Odori: di fieno, di erba, di bosco, di natura. Il gusto dolciastro in bocca delle maltodestrine, di pezzetti di banana, dell'uvetta. La vibrazione dei battiti cardiaci. Il dolore delle gambe, dei piedi, quel tendine che ogni tanto caccia un gridolino. Il Passatore è esaltazione dei sensi, amplificazione dei segnali del corpo. Vanno riconosciuti, governati, gestiti, placati se negativi, gustati se positivi. Un altro paesino, San Cassiano. Un cartello segnaletico, settantacinque chilometri. Un quarto! Manca solo un quarto di gara! Il veloce calcolo mi dà nuove energie fiducia. Ma sapere che manca poco più di una mezza è il miglior ristoro. Ricomincio a correre con continuità. E mi viene facile, la crisi sembra stia passando. Sono in difficoltà ma vedo che anche tanti altri camminano, inizio a sorpassare diversi concorrenti. Dico: "Io sarò in difficoltà ma loro non sono messi meglio" e Vincenzo: "Guarda un po', quello che correva come un treno e per giunta con stile, guarda come lo sorpassi". Sono più regolare io, anche di quelli chiaramente più forti.

2 giugno. Ripenso a quel momentaccio dopo Sant'Adriano: SportTracks dice che in fin dei conti non è durata molto, solo lo spazio di tre-quattro chilometri, e il rallentamento complessivo è stato al massimo di due minuti. Certo correvo lentamente, mi ricordo sì la fatica e i dolori ma anche una corsa quasi rilassata. Il passaggio al settantanovesimo a Santa Eufemia è stato festeggiatissimo da mio padre che mi incitava dicendomi che mancava solo una mezza, quante ne avrai fatte tra gare ed allenamenti? Duecento? Trecento? Ricordo nitidamente, penso a San Cassiano, l'immagine delle torri illuminate sopra Brisighella. La visione mi ha dato altro coraggio. Sono le piccole cose a darci le forza per superare momenti difficili, in una centochilometri è importante nutrirsi non solo di cibi zuccherini ma anche di segnali positivi. Da Fognano, ottantacinquesimo chilometro, il castello di Brisighella sembra ancor più grande, lì vicino, a portata di mano. Ritmo lento e faticoso negli ultimi venticinque chilometri non smetterò mai di correre.

Brisighella (120 metri slm) 31 maggio, ore 00.25
Mancano dodici chilometri. Entro nel centro storico deserto di Brisighella appena passata mezzanotte, c'è pochissima gente, solo il ristoro. Si sale un pochino. Cavolo, dopo Brisighella realizzo che ci sono altri falsopiani, sembra si salga leggermente ma non demordo. Novantesimo chilometro, cavolo mancano solo diecimila metri, stringo i denti sempre di più. Mi affianca il babbo: "Avevo paura di quei falsopiani invece stai andando fortissimo, sempre meglio, dai, ormai è fatta!". Vincenzo mi rassicura sul percorso ora dritto e piatto come piace a me. Il bip del GPS segnala il novantunesimo chilometro. Quel suono mi restituisce energie scomparse, è il bizzarro pensiero che il numero di chilometri sia solo di una sola cifra. Nove chilometri sono troppo pochi per non pensare che sarebbe il caso di accelerare. Decido, inizio la progressione finale. Non riesco a capire come sia possibile correre con tanta facilità dopo quasi dieci ore ma è vero. Brividi di gioia, ora sì, so che ce la farò, e so che farò un gran tempo. Stringo i denti ed esce fuori il furore agonistico, quel mix di impeto lucidità e vigore che mi inebria. I chilometri passano più velocemente, è il conto alla rovescia e ad ogni bip grido le cifre: novantadue, novantatre, novantaquattro. Dopo venti chilometri riguardo il cronometro e vedo che il ritmo è migliorato sensibilmente fino a toccare i 5.30, gioisco.

3 giugno. Un'altra notte è passata. Ho dormito come un sasso in queste notti. Il riposo del guerriero? Più probabilmente il mio corpo che reclama riposo, calma per dedicarsi alla propria ricostruzione. Sono fioccati i complimenti in questi giorni, colleghi amici tutti. Tutti sanno cosa sia il Passatore, famoso a Firenze più della maratona di New York. I complimenti fanno piacere, non c'è dubbio. I ricordi di quella notte si fanno più vivi. Sono nitidissimi quelli dopo Brisighella, quando mi accorsi di stare accelerando. Nonostante mancasse così poco mi ricordo i tanti che camminavano o che correvano molto molto lentamente, e ricordo che sorpassavo tutti e nessuno che andasse più veloce di me. Ormai ero un treno che nulla poteva fermare. Era il novantacinquesimo chilometro, l'ultimo ristoro di Errano.

Faenza (35 metri slm) 31 maggio, ore 01.15
Provo l'inebriante sensazione di essere invidiato per la mia freschezza, per la corsa efficiente ed economica. Sono in un gruppetto, uno dice ad un altro: "Agganciamoci a lui, va veramente forte". Mi esalto, rilasso ancor più l'azione, istintivamente accelero, in cento metri li stacco. Mollo la frontale, non c'è nessuno davanti, mi immergo nel buio, un cartello segnala l'inizio del Comune di Faenza, sento profumo di traguardo. Oscurità, nessuna luce davanti, chiudo gli occhi e mi concentro. Mi parlo: sì senti come corri leggero, come girano le gambe, è la realtà non è un sogno, ecco un concorrente davanti, vai un altro è superato, là ce n'è ancora uno, concentrati, accelera, vai a prenderlo, usalo come lepre, ecco ripreso. Bip del novantaseiesimo, una curva ancora, taglia la strada, togli ancora metri alla sofferenza, la normale fatica del corridore, quanti anni che corro, ne hai fatta di strada, ecco le luci, questa deve essere Faenza, l'ultimo rettilineo, è illuminato, che deserto che c'è. Solo, quante notti che hai corso da solo, al buio, al freddo, alla pioggia, tutto per arrivare fin qua, quel sogno di passare il traguardo di Faenza a braccia alzate, hai lottato solo per questo, quando volevi mollare sognavi questo momento ed ora eccolo sta arrivando. Non conta l'obiettivo ma la strada fatta per raggiungerlo, è il mio momento. Un gruppo di ragazzi, salutano e prendono un po' in giro: "Forza che in piazza è pieno di figaaaaa!". Chissà che gridano alle donne penso, rido e vado avanti. Quanto è dritta questa strada, un altro concorrente, riprendo anche questo, altri due là in fondo, ripresi, entro in centro storico di una Faenza deserta. Ci sono solo io, aumento ancora. Ormai ci sono, ancora più veloce dai, come è bello poter accelerare ancora proprio all'arrivo. Eccolo, lo vedo, è già qui, come vorrei far durare all'infinito questo momento, è vicino, duecento metri, cento, cinquanta... La piazza, sì eccola, davanti a me, stringo un pugno, alzo un braccio, sììììììììì, alzo l'altro "YEAAHHHH!". Un urlo liberatorio lungo cento chilometri, braccia al cielo neanche avessi vinto, o forse ho vinto anche io, sì finalmente stanotte ho vinto io.

4 giugno. Gli ultimi nove chilometri sono durati veramente niente, anche troppo poco. Un piacere in crescendo fino al traguardo. Il babbo, Vincenzo e Rossella che sorridono e vengono a festeggiarmi, io che agguanto una sedia e mi ci fiondo. La stanchezza e i dolori mi sono calati addosso in un istante, mi alzavo e zoppicavo. Però altre volte sono stato peggio. Solo un po' di nausea dopo la doccia poi tutto a posto, tranne il sonno che ha faticato ad arrivare. Un bilancio. Passatore mitico ma durissimo. Faticosissimo ma fantastico. Non sarebbe così mitico se non fosse così duro. Esperienza unica ma assolutamente non per tutti. Almeno, non per tutti è possibile farlo al massimo. Io non mi accontentavo di finire, volevo un obiettivo sfidante, volevo far bene ma sono andato oltre ogni più rosea aspettativa. Sicuramente è stata fondamentale la preparazione, molto variata e con tanti bei lunghissimi sia su strada che trail, e ho il rammarico di aver saltato la "50Km di Romagna" per una tracheite. La strategia di gara azzeccata, con una partenza prudente ma non troppo, una salita alla Colla fatta con calma approfittandone per alimentarmi e recuperare, una discesa senza frenare, l'ultimo terzo stringendo i denti. Tattiche alimentari perfette, mai un problemino, quasi tutto liquido (Coca Cola e maltodestrine), pochissimo di solido. Più di tutto conta la testa, fortificata dalla preparazione, abituata all'endurance, fortemente motivata, concentrata sull'obiettivo. In questi giorni ho ripercorso tante volte quei momenti, specie quelli più duri. È strano, non ho più chiaro il ricordo della fatica: o meglio, mi ricordo che ho faticato, ho sofferto, ho patito dolori vari, ma non ricordo come fosse quella fatica. La vera difficoltà per me sta, matematicamente parlando, nel suo integrale nel tempo: in parole povere è dura perché si è sempre stanchi, la fatica dura davvero troppo a lungo, sembra senza fine. Questo mi ricorderò. Se la rifarò? Chissà. Dopo l'arrivo, sul bus verso le docce, dicevo "Mai più, e stavolta è sul serio". Ora lo dico meno volentieri, tra un mese ancora meno sicuramente, probabilmente non sarà il prossimo anno ma dopo chissà, tra due-tre anni magari sì, ci riproverò. Ho la ventura di vivere proprio lungo quelle strade e quindi di poterci ripensare troppo spesso per credere di non farla mai più. Penso che tra qualche mese correndo lungo la Faentina mi dirò: "Ti ricordi quel giorno, e quella notte, e l'odore del fieno, e le lucciole e i grilli?" e sorriderò ricordandomi di quelle braccia alzate sul traguardo, quell'urlo di vittoria: perché sì, io ho vinto, ho vinto quel ricordo, ho vinto una memoria stupenda che sarà per sempre mia.

Leonardo Magazzini


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