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Il giro del mondo in ottanta passi

"So we arrived
and were able to plant our flag
at the South Pole"

Roald Amundsen

Antartide - Anche ora che scrivo mi fa caldo, e so che sarò condannato ad avere sempre caldo adesso. Corri per dieci minuti a cinquanta gradi sottozero e ti accorgi di aver superato il punto del non-ritorno. Ma facciamo qualche passo indietro per raccontare dall'inizio questa straordinaria avventura a sfondo podistico.

Mercoledì 4 dicembre, ore 8. Fran mi sveglia all'improvviso: si parte. Dalla tenda radio del campo hanno dato il nulla osta. Le foto satellitari permettono una visione completa delle Thield Mountains - lo scalo intermedio per il rifornimento del carburante - e quindi siamo in preallerta, con una sensazione di angoscia che si potrebbe tagliare a fette.

È dal 25 novembre infatti che mi trovo ospite forzato dell'accampamento di Patriot Hills, a due ore e mezza di volo dalle coste dell'Antartide (sei ore dal Cile), unico insediamento diciamo "turistico" all'interno del continente di ghiaccio, in attesa del volo per il Polo Sud. Ed ora finalmente sembra arrivato il momento giusto.

Si tratta del primo viaggio della stagione al polo ed - oltre me - sono a bordo altri tre clienti, due piloti, un meccanico, un dottore ed il responsabile dell'agenzia che ha organizzato questa avventura. Si vola su un aereo di una compagnia del Canada Artico. Ha scritte in inglese, francese ed inuit, l'alfabeto degli eschimesi. Potrebbe trasportare fino a sedici persone ma metà del velivolo è occupato da barili di carburante, dai nostri bagagli, dalle tende (in caso di sosta forzata) ed altro materiale di emergenza e sopravvivenza.

Volando da Patriot Hills il panorama che si vede del finestrino dell'aereo è indescrivibile. Non riesco ancora ad abituarmi alla bellezza del luogo, neanche dopo giorni e giorni trascorsi qui. Ci sono dune di ghiaccio blu che sembrano di diamante e che interrompono la stupenda monotonia di un deserto ammantato di neve. Neve a blocchi, a lastre, compatta e durissima, con scanalature continue che si chiamano "sastrughi" e che riflette la luce solare come uno specchio. Tutto è bianco. L'orizzonte si confonde con il cielo. Dopo due ore e mezzo atterriamo, ma è sicuramente l'atterraggio più terribile della mia storia di viaggiatore: gli sci toccano terra e l'aereo comincia a rimbalzare, salta, va su di punta, vibra tutto, quindi la cabina punta decisamente verso il basso. Penso: "Ecco, ora si ribalta". Invece la pilota, una ragazza sui venticinque anni, riesce a mantenere il controllo e dopo una scivolata che sembra non terminare mai, finalmente ci fermiamo.

È il momento di fare rifornimento. I barili vanno dissotterrati da sotto la neve. Ne servono quattro, duecentocinque litri ciascuno, per fare un pieno. Il posto è ancora più isolato, ancora più lontano da tutti e da tutto: una decina di sacchi neri della nettezza riempiti di neve delimitano la pista di atterraggio che altrimenti non si distinguerebbe dal resto del suolo. Le Thield Mountains sono a qualche chilometro da noi. Tutto intorno bianco. In ogni direzione, per centinaia di chilometri. Il rifornimento dura una ventina di minuti. Risaliamo tutti a bordo tranne il meccanico che, dopo aver inserito una zeppa di legno sotto gli sci dell'aereo, comincia a dare colpi d'ascia per liberarli dalla superficie ghiacciata alla quale si sono nel frattempo come incollati. Si riparte. Il decollo è molto meno turbolento dell'atterraggio, ma è comunque una di quelle esperienze difficili da dimenticare. I due motori cominciano a rombare, la neve si alza a folate dietro di noi ma non ci muoviamo, finalmente gli sci si staccano del tutto e si parte. Come su un ottovolante, su e giù per i sastrughi, poi si smette di saltellare il che significa che siamo decollati. E siamo nuovamente in volo.

Altre due ore e mezzo trascorse ad ammirare a bocca aperta fuori dal finestrino, ed ecco che spunta la base polare Amundsen-Scott, stazione antartica statunitense situata proprio al Polo Sud. Nel punto più distante da tutto il mondo. "Da qui non è più possibile allontanarsi senza ritrovarsi più vicini" dicono quelli della base. La cupola si riconosce a miglia di distanza e sulla pianura ghiacciata svetta la nuova costruzione, che dovrebbe essere ultimata nel giro di cinque anni.

La temperatura sulla carta è di trentasette gradi sotto zero, ma un vento - peraltro leggero - la abbassa a meno cinquanta. Esco dall'aereo ed immediatamente sulle lenti degli occhiali si formano due lastre di ghiaccio sottilissime. Tiro fuori un fazzoletto e "sbrino" gli occhiali. Le sopracciglia, i baffi e la barba cominciano a ghiacciarsi. Fa talmente freddo che quasi non si sente.

Mentre ci incamminiamo verso la base, ad un tratto comprendo appieno che sono al Polo Sud. Vedo la palla celebrativa circondata dalle bandiere, il tunnel sotto la cupola che è l'ingresso vero e proprio della stazione e sono sopraffatto dall'emozione. Meno di cinquecento sono i turisti che ad oggi hanno visitato il Polo Sud. I primi sono arrivati in Antartide nel 1957 quando un volo della PanAm, proveniente da Christchurch atterrò brevemente alla McMurdo Station, che si trova sulla costa.

Entriamo nel tunnel e sotto la cupola, sulla quale svetta la bandiera americana, ci sono container ad uso abitativo uno sull'altro. Le porte sono come quelle dei frigoriferi delle macellerie, spesse e senza finestre. La cupola vista dall'interno è completamente ghiacciata ed ogni tanto fiocchi di neve si staccano dal soffitto. Incontriamo i tre responsabili della base e - fra una cosa e un'altra - in totale sarà una visita che durerà quasi quattro ore. All'esterno scattiamo fotografie al polo "reale", quello indicato da una specie di grosso chiodo di ottone, ed al polo celebrativo, quello con la palla a specchio di fronte alle bandiere. Sono foto veloci: le dita si gelano in un attimo mentre la batteria della macchina fotografica, per via del freddo, non dura qui più di dieci minuti.

Poi alla fine la corsa. Il motivo del perché sono qui, a trenta ore di volo effettive da casa: per fare il giro del mondo in ottanta passi. A meno di tre settimane da oggi, la vigilia di Natale, tradizionalmente si corre al Polo Sud una gara chiamata "Race around the world" (Corri intorno al mondo). Questa esclusiva manifestazione si disputa su un circuito che fa appunto il giro del polo, e quindi del mondo.

La "Race around the world" è una manifestazione che si svolge regolarmente al Polo Sud da oltre dodici anni e vede al via un centinaio di concorrenti. Si snoda su un circuito lungo la pista di atterraggio ed altre piste di transito, da ripetersi tre volte per un totale di poco più di due miglia (circa tre chilometri e mezzo). È aperta a qualunque mezzo di locomozione, per cui ai podisti veri e propri si affiancano partecipanti che la completano di passo, ma anche a bordo di slitte, su "gatti delle nevi" o in altre maniere ugualmente permesse. Addirittura un anno un gruppo di partecipanti si è fatto trasportare su un aeroplano che - senza decollare - ha completato i tre giri previsti per guadagnarsi la maglietta commemorativa gratuita che è l'ambito premio di questa gara.

Essendo qui in anticipo di poco meno di tre settimane, corro da solo. Essendo ancora non "calibrato" a questa temperatura polare ed a questa altitudine, resa ancora più accentuata dal buco dell'ozono, il mio giro è strettamente intorno al cerchio delimitato dalle bandiere. Ho portato con me le racchette da neve, ma dal freddo non sono riesco neanche ad aprire lo zaino. Corro con la giacca e gli stivali imbottiti, gli occhiali da sci, la mascherina davanti alla bocca. E la maglietta (dell'anno scorso) la compro allo spaccio della base polare. Ma comunque sia posso dire "Io c'ero".

È dunque l'ora di ripartire, per rientrare prima di mezzanotte a Patriot Hills. Ai poli, dal momento che le zone temporali convergono in un unico punto, non importa quale fuso venga prescelto: l'orario rispecchia scelte di comodo. In genere questo avviene anche nel resto dell'Antartide. Al Polo Sud si vive secondo l'ora della Nuova Zelanda, a Patriot Hills secondo l'ora del Cile. Nel rientrare al campo si verifica dunque un fatto estremamente curioso: viaggiamo nel passato. La base del Polo Sud la abbiamo visitata tecnicamente nelle prime ore della mattina del 5 dicembre, ma rientriamo a Patriot Hill che sono le 23 del giorno prima. Il viaggio nel tempo è un bonus aggiunto che è alquanto gradito, anche se poi, fra giorni tutti uguali, sole che non tramonta, panorami sempre bianchi, e questo "avanti-e-indre" di date, raramente in Antartide si sa che giorno sia davvero. Orologi e calendari non sono strumenti di questo luogo.

Incontriamo una certa difficoltà a ripartire. Il meccanico deve nuovamente scendere dall'aereo per cercare di liberare gli sci, ma stavolta deve fare ben tre tentativi, sempre a colpi di ascia, per liberare l'aereo dalla stretta morsa del ghiaccio. Visto che abbiamo il vento in poppa, la nostra pilota decide che non è necessario un altro scalo per il rifornimento di carburante e quindi procediamo per Patriot Hill in una unica tirata di cinque e passa ore di viaggio. Ed il tempo passa velocemente. Peccato che il cioccolato che ci viene offerto in volo sia durissimo e mordere la torta di mele addirittura doloroso da quanto è fredda.

Al rientro a Patriot Hills, alle undici di notte ma sotto il sole che splende, siamo festeggiati da quasi tutto il gruppo. Restiamo a chiacchierare per parecchio tempo, aspettando l'aereo che l'indomani ci riporterà a casa.

Al nostro arrivo a Punta Arenas, in Cile siamo prelevati e portati ai nostri alberghi per un'ora, giusto il tempo di riorganizzare i bagagli e di fare una vera doccia. Dopo così tanti giorni di thermos e bacinelle, l'acqua che scroscia dai rubinetti fa una strana impressione.

Da Punta Arenas la strada per il rientro a casa è lunga, ma ogni secondo che passa da questa parte del mondo sono sempre più vicino.



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