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La centochilometri del 1576

Nel 1576 papa Gregorio XIII, quello del calendario, passato il momento più cruento delle guerre contro i protestanti e concluso il Concilio di Trento, proclamò l'Anno Santo dando la possibilità agli abitanti dell'Italia settentrionale di usufruire di tutti i benefici del Giubileo semplicemente recandosi a Firenze e visitando le chiese prescritte, senza dover proseguire fino a Roma. Fu così che un gruppo di massesi della Confraternita dell'Ospedale si recò a "prendere l'Anno Santo" nella capitale toscana, passando per la vallata del Santerno e lasciandoci una stringatissima relazione del viaggio. Il sunto è avarissimo di informazioni sui territori attraversati ma, dai pochi punti fissi descritti, possiamo ragionevolmente immaginare il paesaggio che li accompagnò dalla pianura al crinale, al Mugello e alla Città del Fiore.

La compagnia, lasciata Massalombarda, in processione, il 25 aprile, puntò verso Imola attraversando i "prati", saltuariamente allagati, situati al confine tra gli Stati Estensi (di cui Massalombarda faceva parte) e lo Stato Pontificio. Era in atto un duro scontro tra i confinanti sulla regimazione delle acque che dal territorio imolese scendevano verso la "Bassa" e sull'uso del canale dei mulini e, ai prati che si formavano nei terreni lasciati a riposo tra un raccolto del grano e l'altro per ripristinare la fertilità del suolo, secondo il sistema agricolo del tempo, si aggiungevano dei veri e propri acquitrini con salici e pioppi lungo il confine, a causa del disordine idraulico di tutta la zona. La pianura in generale era allora comunque caratterizzata da un'agricoltura molto arcaica, "del pane e del vino", con grano, vite e cereali secondari (orzo, fave, miglio ecc.) come colture preponderanti. Andavano scomparendo le tradizionali coltivazioni di robbia e guado per le tintorie mentre prendevano il via la canapa e il gelso bianco (per l'allevamento del baco da seta). Dopo Imola, seguendo, grosso modo, l'attuale percorso della strada statale Montanara i nostri, attraversata la larga distesa di ghiaia portata dal rio di Mescola che andava inghiottendo l'abitato di Croara, probabilmente traghettarono il fiume a Borgo Tossignano dove alcuni restarono per pernottare mentre gli altri salirono al capoluogo della vallata, in cima al colle gessoso ammantato da fichi, mandorli ed olivi.

Il giorno seguente ripresero la marcia probabilmente lungo il largo letto ghiaiato del fiume, oltre l'importante Mulino Campola fino a Filetto, dove una frequentata pista si staccava dal fondovalle e saliva a Santa Maria Maddalena, ai ruderi della Rocca di Codronco e, dopo la Madonna della Neve, entrarono in Toscana da Mercurio (sotto Piancaldoli) che allora era la principale dogana della zona. Forse proseguirono per Castelvecchio e Peglio per scendere a Firenzuola, un po' svuotata dall'Anno Santo, che attraversarono in processione per poi pernottare all'osteria della Campana. Questo percorso appare decisamente allungato e irrazionale (salire a Piancaldoli per poi scendere a Firenzuola?) ma bisogna considerare che il proseguire lungo il Santerno avrebbe significato attraversare lo staterello, indipendente e rissoso, degli Alidosi di Castel del Rio, per piste ancor meno battute. Del resto i nostri non si stavano certo muovendo nel vuoto; la popolazione complessiva dei territori attraversati era meno di un quinto dell'attuale ma, complessivamente, la parte montana considerata aveva all'incirca gli stessi abitanti dei nostri giorni. Erano però distribuiti su tutto il territorio cosicché parecchie zone erano molto più popolate di adesso (per esempio Filetto 120 abitanti, Castelvecchio 78, Caburaccia 315, Peglio 250 ecc.). Il 27 aprile, in una freddissima giornata (era l'anno più freddo del secolo), attraversano il passo del Giogo, tra selve di faggi, abeti e castagneti e scesero a Scarperia che, pesantemente colpita dal terremoto del 1542, stentava a riprendersi malgrado la produzione di "ferri taglienti" fosse un richiamo anche per i nostri pellegrini. Guadarono poi la Sieve sotto la grande fortezza di San Piero, in costruzione e, a notte inoltrata, arrivarono a Firenze.

Nella capitale li aspettava un programma intensissimo, di un solo giorno e mezzo, di visite alle chiese poiché il giorno 29 ripartirono sfiorando il colle di Fiesole nel dirigersi verso Borgo San Lorenzo. Nel Mugello poterono intravedere le ville signorili con parchi e giardini, ancora pressoché sconosciute in Romagna, che iniziavano a sorgere, ma alla Fontana dell'Alpe, sotto la Colla di Casaglia, dormirono in un ricovero molto simile ad una stalla.

Il dì seguente, varcato il crinale, scesero a Crespino, Marradi e, sempre sotto la pioggia, arrivarono fino a Fognano. Il primo maggio un ultimo "tappone" li portò a Brisighella, dove si cavava il gesso in pieno centro, dall'attuale colle della Torre (detto allora proprio "Gesso"), a Faenza, dove fu celebrata la messa al Santuario della Madonna del Fuoco e, guadato il Senio tra Cassanigo e Felisio, furono accolti con festeggiamenti e onori a Solarolo e a Bagnara. Diversa fu la situazione a Mordano, dove non furono neppure fatti entrare per via della controversia a cui abbiamo accennato all'inizio cosicché, per stradelli secondari, i pellegrini rientrarono infine a Massalombarda accolti dal festoso incontro di tutta la popolazione.

Peccato che, a quei tempi, quasi nessuno tenesse in minimo conto natura e paesaggio e così la stringatissima relazione del pellegrinaggio non aggiunge niente alle nostre conoscenze della vallata. Certo percorsero centoventi chilometri all'andata, in tre giorni, più altrettanti al ritorno, nello stesso tempo, cui vanno aggiunte le processioni, in gruppo; si trattò, sotto l'aspetto della velocità di spostamento, di una bella camminata, un po' l'antesignana della "Centochilometri del Passatore".


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