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Una corsa nelle retrovie

"Ciao Giulia, per favore, oggi dovresti fare la scopa".

Così mi accolse il responsabile delle gare di podismo Gau, in una bella ed assolata giornata di marzo. Fare la "scopa" significa seguire ed accompagnare all'arrivo l'ultimo concorrente. Non l'avevo mai fatto: in tanti anni di podismo amatoriale avevo sempre corso nel gruppone dei "tapascioni", ossia gli appassionati che non vanno mai né troppo forte, né pianissimo, ma che si sfidano comunque ai limiti delle loro possibilità, a volte superandosi, a volte inseguendosi.

Alla partenza tutti i partecipanti scattarono con veemenza; io restai in fondo, con un signore longilineo, dai capelli bianchi lunghi fino al collo e con un pizzetto altrettanto candido, ben curato. Passammo il primo chilometro sul condotto storico in circa sette minuti (corsa non veloce, ma, considerata la rampa iniziale in salita, neppure troppo lenta, come sanno bene gli esperti). Dopo poco arrivammo all'iscrizione commemorativa di Vittorio Gassman: qui il mio compagno di corsa si voltò verso di me e mormorò: "Io sono stato insegnante di recitazione e l'ho conosciuto tanti anni fa".

Smise di parlare e di buona lena arrivammo al seicentesco ponte-canale di Rio Torbido, imponente opera lunga oltre cento metri e con un'altezza di quasi quaranta. Qui il Professore, come ormai l'avevo soprannominato io, inarcò in avanti la schiena e, accelerando improvvisamente il passo, attraversò a testa china il ponte. Subito dopo mi confessò che aveva fatto così perché soffriva di vertigini. Anch'io ne soffro, pensai, ma non dissi nulla.

Continuammo in silenzio: era la prima volta che correvo senza tenere lo sguardo a terra, concentrata nella corsa e nella fatica. Quel giorno, con la testa alta, scoprii casette e villini , orti ben curati, ulivi, profumi di fiori, sentii persone che salutavano e incitavano e ricambiai con un sorriso, senza temere di perdere dieci secondi. Che sensazioni...

E la corsa? Al giro di boa erano già sfrecciati da un pezzo tutti gli atleti, con lo sguardo perso nel vuoto, o fisso sul podista davanti, pronti a "mordere la coda" e sorpassare. Io no, seguivo con leggerezza il mio Professore: ancora pochi chilometri, qualche centinaio di metri, il traguardo...

Lì ci attendevano ancora, oltre ai giudici di gara, due spettatori, che ci accolsero con un caloroso applauso. Erano sua moglie e mio marito.

Se sarà necessario, farò ancora la scopa.

Giulia Merlano


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