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Sull'altipiano del Colorado

Con la Chevrolet del 1971, presa a noleggio a Denver, sono riuscito a raggiungere questo incantevole altipiano per svolgere un allenamento in quota. Il posto è veramente magnifico, davanti a me ci sono delle belle collinette che si perdono a vista d'occhio, hanno forme molto dolci. All'orizzonte c'è una leggera nebbiolina che rimane come sospesa in aria, mentre il sole si sta alzando e con i suoi raggi sta lentamente sciogliendo l'umidità che è scesa durante la notte.

Muovo i primi passi su un sentiero erboso, sento i miei piedi che affondano sul terreno, mentre mi entra nelle narici l'odore dell'erba tagliata di fresco. È l'alba di un giorno festivo, l'atmosfera è silenziosa, rarefatta, avverto solo il cinguettio di qualche uccellino, nulla di più.

Mentre sono immerso in questa atmosfera idilliaca aumento il mio ritmo, il mio respiro si fa più frequente ed inizio ad avvertire un sottile piacere che si dipana lungo tutto il corpo. Correre in questo ambiente è veramente bello. It's beautiful. Cos'altro potrei desiderare? Sono in compagnia del mio spirito.

Con la coda dell'occhio intravedo, in lontananza, alcune sagome in movimento, mi avvicino e vedo delle persone che stanno correndo. Sono a piccoli gruppi e stanno parlando tra di loro. Corrono con le magliette pubblicitarie delle più importanti maratone americane: New York, Boston, Chicago, Los Angeles, San Francisco. Fantastico, this is beautiful!

Mi aggrego alla compagnia e osservo che il gruppo è variegato: ci sono atleti dai lineamenti muscolari essenziali, forse professionisti, che corrono in modo agile, sciolto, insieme a podisti dal passo un po' pesante e dalla respirazione un po' affannosa, con loro anche due donne che procedono in modo spedito, facile: una ha una coda di cavallo annodata sopra la testa che le dà un'aria regale, mentre l'altra, più piccola di statura corre con frequenze elevate e sembra non avvertire la fatica.

Sul margine sinistro del sentiero c'è un atleta con i capelli biondi, leggermente lunghi che, ad ogni passo, ondeggiano. Le sue movenze sono naturali, feline, il suo appoggio è felpato, silenzioso. Sta conversando con qualcuno del gruppo. Con il mio inglese scolastico, capisco che sta raccontando il suo successo alla maratona di Boston.

Incredibile! Sto correndo vicino a Bill Rodgers, il primo grande maratoneta dell'epoca moderna, l'uomo che ha trionfato per quattro volte a New York, a Boston, a Fukuoka ed in innumerevoli altre maratone. Rodgers è stato il primo atleta di alto livello a scegliere la strada, la maratona per le sue imprese. Sulla sinistra c'è un gruppo di cavalli al pascolo, Bill li osserva attentamente, poi commenta: "Fantastici quei cavalli, qui hanno tutto lo spazio per vivere in libertà".

Rodgers ha l'accento del Midwest che gli conferisce una parlata un po' rozza che contrasta con il suo stile di corsa così armonioso, ogni parte del suo corpo si muove in perfetta sincronia. Costeggiamo un laghetto attorniato da alberi, qualche pescatore è già sul posto con le canne in acqua. "Alla fine del lago avremo percorso dieci miglia, su ragazzi finiamo un po' allegri!" sollecita Rodgers. Aumentiamo il ritmo, nessuno parla più, siamo tutti concentrati, siamo in religioso silenzio, si percepisce solo il respiro che ci accompagna, un respiro che, passo dopo passo, diventa sempre più profondo e sempre più frequente...

Sento il rumore del camion che carica i rifiuti dal cassone dell'immondizia, mi giro nel letto e rimango con gli occhi chiusi.


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