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E qui mi fermo (tributo d'amore)

Spesso la corsa è stata paragonata ad una droga. Certo, è molto difficile lasciare i paradisi artificiali, con le endorfine non si scherza!

Lasciare la corsa agonistica, credo sia stato difficile per tutti quelli che mi hanno preceduto. Potrei parlare di famiglia e di lavoro, sicuramente hanno la loro importanza ed è giusto ed umano che sia così, ma non voglio utilizzarli come schermo. La verità è un'altra: la corsa, per me, è stata un grande amore ed ora non lo è più.

"Grazie Massimo", che nel lontano 1 dicembre 1974, forzando la mia volontà, mi hai portato al primo "Giro podistico dell'aeroporto di Forlì". Io che non avevo mai praticato nessun sport, io che saltavo le lezioni di educazione fisica, io che ignoravo lo sport.

Fu una faticaccia, tornai a casa pieno di dolori, con le vesciche e le unghie nere ai piedi. Non so per quale misteriosa ragione, ma forse quel giorno ho contratto il virus della corsa.

Dal primo approccio alle gare competitive trascorsero alcuni anni, nel frattempo cominciavo a sentire il piacere del mio corpo in movimento, vivo, pulsante.

Non avevo il phisique du role, sapevo che non sarei mai diventato un campione, ma ero spinto da un forte desiderio di migliorarmi, di conoscere i miei limiti. Ed allora iniziai a documentarmi, a leggere, a sperimentare. Con i consigli di qualche atleta e di un tecnico ho conosciuto i vari ingredienti dell'allenamento: il fartlek, l'interval training, il fondo lungo, la potenza aerobica, la tecnica di corsa, lo stretching. Così, per velocizzarmi, facevo qualche escursione in pista nelle classiche distanze del mezzofondo prolungato e per temprarmi alla fatica correvo le campestri, dove le scarpette chiodate, facevano volare il fango fin sopra la testa.

Ma è con la corsa su strada e soprattutto nella maratona metropolitana, che ho trovato una mia dimensione, una dimensione dove l'uomo è guidato dal suo cuore e dal suo cervello, dove l'istinto non basta più, dove il piacere e la sofferenza sono dilatati dall'impegno richiesto, dove il piacere e la sofferenza sono le due facce della stessa medaglia, dove il piacere e la sofferenza portano verso nuovi orizzonti.

A New York, ho vissuto delle emozioni indimenticabili. Nella Grande Mela, dal ponte di Verrazano a Brooklyn, dai grattacieli di Manhattan a Central Park, la maratona è un rito, uno spettacolo, una religione, è vita. "Grazie Fred Lebow".

La corsa mi ha fatto conoscere tante persone senza la maschera professionale e sociale, così diverse e così eguali, tutte unite dalla medesima passione, da una passione che riporta l'uomo, bipede, sedentario, schiacciatore di telecomandi e di oggetti sempre più sofisticati, alle sue origini animali.

E qui mi fermo.


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