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Un'avventura

Oggi si direbbe "no limits" ma, agli inizi degli anni settanta, correre per cento chilometri era semplicemente una impresa da pazzi. Allora si era innamorati della corsa, per dirla in termini romantici, certamente incoscienti e pieni di entusiasmo, per uno sport che si prestava ad imprese epiche, che non avevano riscontri nella storia dell'uomo. Non si conoscevano i limiti dell'uomo e quando la passione è tanta, è smisurata, dove sta il limite? Eravamo dei pionieri e per il pioniere che c'è di meglio della sfida portata ai limiti estremi, all'ignoto?

In ogni parte dell'Europa venivano organizzate corse podistiche che sapevano di avventura, era tutto un pullulare di gare, che si svolgevano su percorsi spesso molto impegnativi e dai richiami storici: la "Torino/Saint Vincent", la "Londra/Brighton", la "100km di Millau" in Francia, la "Sparta/Atene" nel panorama brullo e selvatico della Grecia, eccetera eccetera.

Ed anch'io, ormai preso dal "morbo" della corsa, mi sono presentato alla partenza della "100km del Passatore", alla "Firenze/Faenza", pur senza nessuna preparazione, nè specifica, nè generale, ma facendo fede unicamente sul mio spirito e sulla solidarietà che avrei incontrato negli altri partecipanti. Non avevo l'obiettivo di concluderla, perchè mi rendevo conto di essere totalmente inesperto, ma il fascino che esercitava su di me era tanto, per cui, quale migliore occasione per misurarmi con me stesso?

A Firenze l'atmosfera era molto allegra, tra i turisti incuriositi, c'era qualche concorrente un po' stravagante: un podista era vestito da uomo primitivo, con tanto di arco e di frecce a tracolla, un altro da indiano d'America con penne da grande capo! Ma c'erano anche persone normali o apparentemente tali, tutte unite dalla passione per la corsa, una passione che sembrava non avere confini. Alle 16 abbiamo lasciato piazza della Signoria per un'avventura dai contorni ignoti, ma anche mitici e così, un po' alla volta, ho cominciato a macinare chilometri, alternando la corsa al passo, quando la salita si inerpicava come una parete di montagna.

Ho raggiunto il passo della Colla verso mezzanotte, mentre Vito Melito, il primo concorrente era già arrivato a Faenza da oltre un'ora! Ero a metà percorso, ormai il clima della gara mi aveva coinvolto, provavo una certa euforia per l'avventura che stavo vivendo e così, anche se le mie gambe si rifiutavano di correre, continuavo pur sempre a camminare, per cui, dopo un rigenerante massaggio, ho proseguito la mia avventura in compagnia di alcuni podisti, conosciuti lungo il percorso.

Dopo un paio d'ore di buio pesto sono arrivato a Marradi, erano le tre di notte. La gente era ancora alzata e chi, dai bordi della strada e chi, dalle finestre di casa, ci salutava e ci incitava a proseguire. Sono stato piacevolmente sorpreso dall'accoglienza ma la fatica cominciava a farsi sentire! Mi sono fermato al posto di ristoro per prendere un po' di respiro e per sottopormi ad un altro massaggio, però i muscoli delle mie gambe cominciavano ad indurirsi, ormai le sollecitazioni terapeutiche non mi erano più di aiuto. Ho ripreso a camminare, qualche altro podista mi appaiava e mi superava, ho salutato il mio amico Alfredo, con il quale avevo condiviso chilometri e fatica, che aveva deciso di continuare la sua avventura con un passo più spedito, provando ad arrivare dove neanche i nostri sogni avevano osato! Camminavo in silenzio, non avevo più la forza di parlare e non c'era più niente che riuscisse a distrarmi, ero spinto solo dalla forza d'inerzia.

Alle 8 del mattino sono arrivato a Brisighella, in prossimità del novantesimo chilometro, il sole era già alto e picchiava forte, mi sono fermato all'ennesimo posto di ristoro per farmi fare l'ennesimo massaggio alle gambe, per cercare di raggranellare le ultime energie, ma ormai il fondo del barile era già stato raschiato, le gambe erano dure come macigni e non ne volevano sapere di proseguire, stavo per andare oltre l'umano, avevo la sensazione che andando avanti avrei perso il controllo senza sapere a che cosa sarei andato incontro ed allora, con quel briciolo di lucidità che mi era rimasta, ho preso la decisione di fermarmi, di ritirarmi.

Non mi sentivo uno sconfitto, in fondo ero partito per vivere un'avventura e l'avventura l'avevo vissuta, anche se non l'avevo portata a termine. Negli ultimi chilometri, le forze mi erano venute meno e allora perché continuare?

Sono salito in macchina e mentre percorrevo il tragitto che mi portava a Faenza, ho visto dei podisti che si facevano sostenere da amici, parenti, che pur di non mollare si aggrappavano come bimbi strappati alle loro madri, altri che cercavano di ribellarsi a tanta fatica, a tanta sofferenza implorando gli accompagnatori di volersi fermare, sedendosi ai bordi della strada, come bimbi recalcitranti a proseguire. Naturalmente c'era anche chi sostenuto da maggiore forza d'animo, da qualche energia in più o dall'abitudine alla fatica, percorreva gli ultimi chilometri con maggiore dignità. Ero arrivato ai miei limiti e la mia decisione di ritirarmi mi parve una scelta saggia.

Due anni dopo, sono tornato sul percorso per arrivare a Faenza, per poter dire a me stesso: "c'è l'ho fatta!". E anche per una sfida, provocata dal professor Zecchi, allora docente universitario alle prime armi, con il quale avevo fatto una scommessa. Mi sono allenato per concludere la gara in buone condizioni e con un tempo discreto e così sono riuscito ad arrivare a Faenza. Tuttavia, nonostante abbia raggiunto la meta, non ho provato le emozioni della prima volta, la "100km del Passatore", per me, era ormai diventata una gara come le altre, solo più faticosa. Non ci sono più ritornato come partecipante, ma solo come spettatore o come accompagnatore di qualche amico per vivere le emozioni dell'uomo alle prese con la fatica.

Ma cosa può spingere migliaia di persone a correre e a camminare per cento chilometri? Ognuno ha una sua risposta, ma al di là delle singole motivazioni, in un mondo dove si è sempre più alienati da sé ed assimilati alla macchina, ritorna il bisogno dell'uomo di ritrovare se stesso, di vivere con il suo cuore, il suo cervello e il suo corpo.

E anche la fatica, la sfida portata ai limiti umani, le piaghe ai piedi, i dolori muscolari, le crisi di "smarrimento" e l'euforia momentanea acquistano un loro senso. Sono il prezzo che si paga, perché l'uomo, almeno per un giorno, ritrovi se stesso e si senta protagonista della propria esistenza.

E domani ? Domani è un altro giorno...


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